"Il meglio è nemico del bene"

"Il meglio è nemico del bene"

Quando il perfezionismo ostacola il lavoro (più che aiutarlo)

Nel mondo del lavoro, “puntare all’eccellenza” è un valore spesso premiato. Ma cosa succede quando questa spinta diventa eccessiva?

Molti professionisti, a tutti i livelli, si trovano intrappolati in un perfezionismo che, invece di migliorare la qualità, finisce per rallentare i progetti, aumentare l’ansia e compromettere il benessere.
Il desiderio di fare bene si trasforma allora in una fonte costante di stress, che logora più di quanto non aiuti.

In Analisi Transazionale, questa tendenza viene descritta attraverso il concetto di “spinte”: messaggi appresi nella prima infanzia, interiorizzati attraverso la relazione con figure significative.
Le spinte ci portano a comportarci secondo schemi automatici per sentirci “a posto”, “all’altezza”, “degni”. Nel caso del perfezionismo, la spinta si chiama “Sii perfetto”.

Dietro a questa voce interiore si celano spesso idee implicite e potenti:
👉 “Valgo solo se il mio lavoro è impeccabile.”
👉 “Se commetto errori, perderò la stima altrui.”

Ecco perché, al di là della semplice “cura per i dettagli”, il perfezionismo è spesso un tentativo di proteggere la propria autostima. Ma più cerchiamo di essere perfetti, più ci allontaniamo da un rapporto sano con noi stessi e con il nostro lavoro.

Come si manifesta il perfezionismo disfunzionale sul lavoro

Questa spinta interna può esprimersi in diversi modi, più o meno evidenti:

✅ Passare troppo tempo su dettagli marginali, perdendo di vista gli obiettivi principali.

✅ Rimandare i compiti complessi per paura di non riuscire a farli “bene abbastanza”.

✅ Provare disagio esagerato di fronte a feedback o critiche, vissute come giudizi sul proprio valore.

✅ Faticare a delegare, perché “nessuno lo farà come me”.

✅ Sentirsi inadeguati anche dopo risultati oggettivamente validi.

A lungo andare, questo stile di funzionamento rischia di compromettere non solo la produttività e la creatività, ma anche il clima relazionale e il benessere psicologico individuale.

Come rompere il circolo vizioso

Saper riconoscere questi automatismi è il primo passo.
Chi vive costantemente sotto la spinta del “Sii perfetto” spesso ha un dialogo interno severo, poco indulgente, che non lascia spazio all’errore o all’apprendimento. Eppure, il margine di errore è parte integrante di ogni processo di crescita.

Rinunciare al perfezionismo non significa abbassare gli standard, ma imparare a distinguere tra ciò che è importante e ciò che è eccessivo.
Un lavoro “sufficientemente buono” consegnato in tempo ha evidentemente un valore maggiore di un lavoro impeccabile… ma mai concluso.

In questa prospettiva, darsi il permesso di essere umani — di sbagliare, di chiedere supporto, di riconoscere i propri limiti — diventa un atto di forza, non di debolezza.

Un supporto per professionisti e manager

Il perfezionismo cronico non si risolve con la sola forza di volontà. Spesso ha radici profonde, che richiedono uno spazio di riflessione dedicato per essere comprese e trasformate. Un percorso psicologico, individuale o orientato al coaching, può aiutare a:

-decostruire le convinzioni limitanti interiorizzate nel tempo;

-sviluppare un dialogo interno più gentile ed efficace;

-riconoscere il proprio valore al di là della performance.

Per chi è interessato ad approfondire l’impatto del perfezionismo nel contesto organizzativo, consiglio questo articolo chiaro e ben strutturato:
👉 Perfezionismo e lavoro – State of Mind

Mi chiamo Alessio Innocenti, sono uno psicologo con esperienza nelle organizzazioni complesse e nella gestione del personale. Lavoro con professionisti, manager e team per promuovere benessere, consapevolezza e cambiamento.

📩 Se vuoi approfondire o condividere una tua riflessione, puoi scrivermi: sarò felice di parlarne con te.

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